Di madre svedese e padre italiano, cresciuto negli Usa, Roberto Monti entra in Arper lo scorso gennaio per ricoprire il ruolo di amministratore delegato, con l’obiettivo di traghettare l’azienda verso una maggiore internazionalizzazione, l’adozione di una strategia omnichannel e una seria riflessione sul ruolo di un prodotto contract che in realtà è assolutamente adatto anche al residenziale.
Un incontro, quello tra Claudio Feltrin, numero uno di Arper e presidente di FederlegnoArredo e Roberto Monti, manager di lunga esperienza internazionale nel mondo dell’arredo, è da subito felice. Entrambi condividono un terreno comune di idee e pensieri e viene naturale unire le forze. Un passato in Ikea, dove lancia l’e-commerce del colosso dell’arredamento nordico, una visione ed esperienza internazionale, Monti sa bene che “in Italia esiste una capacità immensa di creare il prodotto e anche il marchio. Ma di fare sistema e lavorare tutti insieme mettendo l’utente e il cliente, non solo il consumatore, al centro non è esattamente la parte più forte”. Connettere ciò che sta a monte con ciò che sta a valle “non viene esattamente naturale”. E così anche il concetto di ominichannel “non è immediato. Per esempio – fa notare Monti – l’e-commerce oggi è una precondizione. Ciò che poi è in grado di aggiungere effettivamente dipende dal tipo del business”.
INTERAZIONE ANCHE CON SEGMENTI DIVERSI DAL CONTRACT
E quello del mobile è un settore che conosce bene il proprio rivenditore, ma meno il consumatore: “mette tanta empatia nello sviluppo del prodotto, meno dei processi, in particolare come rispetto a come incontrare l’utente”. In questo contesto, “Arper è un’azienda dai valori sani con grande capacità di sviluppare dei bellissimi prodotti. E’ riuscita a creare un marchio che si riconnette a prodotti dalla identità chiara, netta. Un’azienda con tanta visione, nonostante la piccola dimensione, con una grande curiosità di interagire con il resto del mondo e contemporaneamente molto legata al territorio. Che ha sicuramente questa capacità italiana di usare l’empatia quando è fuori casa e di interagire con il resto del mondo”. Ha però una qualche criticità. Arper è un’azienda che si occupa essenzialmente di contract ed “ha vissuto gli ultimi due anni in modo difficile, non solo perché lavora in quell’ambito, ma anche perché ancora non aveva iniziato il cammino di rinnovamento”. Monti assicura però che dalle esperienze che abbiamo di recente vissuto “Arper ha imparato moltissimo. Già in passato ha lavorato nell’inserire dell’home feeling nella parte contract e ora deve imparare a utilizzare meglio quella capacità che ha anche nell’interagire con segmenti diversi dal contract”.
CRESCERE NEL MONDO CON PRESIDI OMNICHANNEL
Il che non significa cambiare immediatamente pelle e votarsi anche al B2C. “Io faccio una divisione netta: un conto è mettere al centro l’utente e non precludere nulla, sapendo che l’ambiente è sempre più fluido e che si possono avere prodotti e soluzioni che calzino sui nuovi bisogni; altro è cambiare il canale di vendita. B2B e B2C sono molto diversi ed è molto difficile imparare a fare bene il secondo”. Sicuramente dovrà aumentare il numero di showroom Arper nel mondo: oggi sono 16, tra propri e consociati, “ma dovremo essere più presenti nei vari mercati, non solo fisicamente, ma anche utilizzando una corretta strategia omnichannel. Vogliamo valorizzare meglio tutto quello che è stato fatto. Ed è possibile solo essendo più presenti”. Un esempio? Gli Stati Uniti, “dove Arper è molto apprezzata, ma resta ancora di nicchia, quando invece potrebbe godere di un consenso ben più ampio”. Nulla osta, avverte però Monti, che nel momento in cui si ha uno showroom con l’obiettivo di fare B2B, quest’ultimo non possa anche diventare più interattivo e dinamico”. Si deve insomma capire se e fino a che punto si vuole passare al retail. Insomma, un aspetto quello della distribuzione “che stiamo valutando molto attentamente”.
LA CULTURA AZIENDALE VERO VANTAGGIO COMPETITIVO
Per il prossimo futuro il Ceo immagina un’azienda che “avrà sviluppato fatturato ed ebitda in modo corretto, perché sta facendo le cose giuste e non solo perché pone questo come obiettivo principale. Lo scopo dell’azienda deve essere portare un valore aggiunto nel suo campo”. Un traguardo, ammette, sarebbe “traguardare i 100 milioni”. “Arper ha valori molto sani e una cultura aziendale di un certo tipo. E questo – chiosa il manager – è spesso il vero vantaggio competitivo. Del resto, come si dice? ‘Culture eats strategy for breakfast’”. Avere dunque valori ben chiari e una visione è necessaria per ottenere risultati. Tutto ciò premesso, “possono avere senso delle aggregazioni e acquisizioni. Può avere un senso creare un polo e delle economie di scala, ma devono essere una logica e uno scopo coerenti” con i valori dell’azienda. “E per noi è prematuro esprimerci in questo senso. Per creare valore aggiunto possono ad esempio essere sufficienti delle partnership. Noi dobbiamo capire cosa crea più valore aggiunto per noi”. Infine un appello: “il cambio generazionale non è solo nella gestione aziendale ma nell’assicurare che nel sistema italiano si lasci più spazio ai giovani”.