Torna, dopo venti anni, l’esposizione internazionale,il tema è quello dell’arredo nel xxi secolo,tra i focus, la mostra ‘stanze. Altre filosofie dell’abitare’,organizzata con il salone del mobile. a confronto 11 modi di intendere l’architettura d’interni.
La Triennale ha preso una decisione storica: organizzare nuovamente la Esposizione Internazionale, la cui 21esima edizione si sta tenendo in questi mesi e fino al 12 settembre 2016. Nata a Monza nel 1923, e trasferita a Milano nel 1933, la rassegna ha sempre indagato i temi urgenti e attuali della società. Quest’anno, l’evento si svolgerà in modo inedito aprendo non solo i suoi spazi e quelli di Parco Sempione (dove la Triennale ha lasciato segni importanti come la Torre del Parco, il Teatro Continuo di Burri, l’attuale Bar Bianco, la Biblioteca, i Bagni Misteriosi), ma sarà diffusa in tutta la città: dalla Fabbrica del Vapore all’Hangar Bicocca, dai Campus del Politecnico a quello della Iulm, dal Museo delle Culture alla Villa Reale di Monza. Il tema è di grande attualità: “XXI Secolo. Design after design”, il ‘progetto oltre il progetto’ nel nuovo millennio. Per realizzarlo sono stati investiti dodici milioni di euro. A vent’anni di distanza dall’ultima grande mostra sul tema degli interni ‘Il Progetto Domestico’, nel 1986, l’argomento torna protagonista del progetto ‘Stanze. Altre filosofie dell’abitare’, curato dall’architetto Beppe Finessi. “In un momento storico nel quale l’attenzione quotidiana per le discipline della progettazione è aumentata, in un doppio binario di interesse tra architettura e design – spiega Finessi -, continua a mancare, non solo in Italia, un programmatico riconoscimento critico verso la disciplina che più di altre è sempre stata praticata anche dai più giovani, perché da sempre l’architettura degli interni rimane il primo territorio di pratica professionale nel quale ogni progettista trova il primo ascolto, e le prime occasioni di lavoro.
Da qui, la necessità di realizzare una grande mostra che facesse il punto sullo stato dell’arte, mostrando al meglio l’opera di un gruppo selezionato di autori”. Dopo una breve premessa storica, vengono esposte le opere dei progettisti che in anni più recenti hanno mostrato la propria visione del mondo attraverso l’architettura degli interni. “Una sorta di enciclopedia tridimensionale fatta di fotografie, modelli e disegni – prosegue Finessi – che raccontano la storia dell’architettura d’interni del Novecento”. Successivamente si attraversa una sequenza di 11 ambienti, ognuno progettato, secondo la propria filosofia dell’abitare, da un autore diverso: Andrea Anastasio, Manolo De Giorgi, Duilio Forte, Marta Laudani e Marco Romanelli, Lazzarini Pickering Architetti, Francesco Librizzi, Alessandro Mendini, Fabio Novembre, Carlo Ratti Associati, Umberto Riva, Elisabetta Terragni. Infine, il filosofo Francesco M. Cataluccio, ha individuato per ogni progetto testi letterari o filosofici di riferimento legati all’ultimo ventennio, motivo di riflessione e dibattito. “Tutti abitiamo dentro alle case, e la nostra vita si svolge per buona parte dentro quegli spazi – conclude il curatore -. L’architettura degli interni, dunque, ha questo compito speciale: pensare e definire gli spazi e gli ambienti con le forme, i colori, i dettagli che ospiteranno i corpi di quelle persone prendendosi cura di quelle diverse umanità”.
Fabio Novembre: “La mia ’stanza’? Processo di introspezione”
Fabio Novembre è tra gli 11 architetti ad aver preso parte al progetto ‘Stanze’ in Triennale. Il suo allestimento, denominato ‘Intro’, è un viaggio dentro l’uomo.
Qual è il ruolo dell’architettura d’interni?
Il ruolo dell’architettura d’interni, è quello di mediazione tra lo spazio vuoto dell’architettura e i volumi pieni dell’arredo. Un palcoscenico costruito ad arte per rappresentare le vite degli attori che lo calcheranno.
Perché partecipare a ‘Stanze’?
Perché c’erano tutte le premesse di serietà: un grande curatore come Beppe Finessi e un’istituzione di riferimento come il Salone del Mobile.
Qual è l’interpretazione che lei mette in scena in Triennale, il suo concetto di stanza?
La mia stanza è un processo di introspezione che faccio con me stesso, ma che è anche un invito alla condivisione con gli altri. Morbida e accogliente, come un uovo, invita a distendersi e a ritrovarsi.
Perché la sua creatività è così strettamente connessa al corpo umano e alle sue forme?
Il corpo umano è stato usato in quasi tutte le culture per la rappresentazione del Divino. L’idea di perfezione a esso legata è qualcosa che mi ha sempre affascinato, ma sono cosciente della deriva narcisistica che troppo spesso incombe. In ogni caso, non esiste sul pianeta un modello di riferimento migliore.
Cosa ne pensa dell’abbinamento tra ‘Intro’ e il saggio di Sottsass?
Sottsass è sempre stato un mio modello di riferimento, sia come sperimentatore di vita sia come progettista. L’abbinamento mi inorgoglisce, ma abbiamo linguaggi molto diversi, così che il suo “Scritto di notte” resta come sospeso nell’aria, un racconto da respirare senza il bisogno di essere ascoltato.
Come vorrebbe che evolvesse l’architettura d’interni?
L’architettura d’interni ha una chance storica: provare a guidare l’architettura partendo dalle necessità di chi la abita. L’esperienza contemporanea ragiona sulla forma esterna del volume architettonico relegando gli interni a una conseguenza spaziale: “dal fuori al dentro”. Rivoluzionario sarebbe invertire questo processo “dal dentro al fuori”, restituendo agli interni la dignità del racconto della storia umana.