Per crescere, obiettivo comune per le aziende del mobile, servono uomini e soprattutto capitali. Di conseguenza o si aprono all’ingresso di altre società finanziarie e industriali nel capitale oppure, in presenza di determinate caratteristiche, entra in gioco l’ipotesi della quotazione in Borsa. Il contributo della finanza per la crescita delle imprese è stato l’argomento della prima tavola rotonda sul palco di Palazzo Mezzanotte, al secondo Design Summit di mercoledì 22 giugno.
Barbara Lunghi, head of small & mid caps-primary markets di Borsa Italiana, ha riconosciuto la scarsa capacità di attrazione del mercato azionario verso le aziende del design. “Parliamo di un settore – sostiene – che non sempre si è posto ambizioni in termini dimensionali o di M&A, a differenza di quanto avviene invece nella moda. Sono convinti di poter fare da soli? In realtà credo si tratti più di acerbità, con aziende che faticano a ragionare come i big player che hanno invece operato per ottenere risultati in termini di produzione, vendita e commercializzazione”. Borsa Italiana, per avvicinare le Pmi ai mercati finanziari e concretizzare desideri di sviluppo o sostegno ai progetti, ha lanciato il percorso Elite, che partendo da 260 aziende (di cui 11 del design), nel 50% dei casi ha comportato risultati di diverso tipo tra ingresso di nuovi soci, minibond, fino ad arrivare a quattro quotazioni. “Alla Borsa ci si arriva con gradualità, come è giusto che sia, ponderando e metabolizzando le decisioni strategiche” ha commentato.
Giovanni Tamburi ha raccontato l’esperienza di Tip, Tamburi Investment Partners (società quotata con 500 milioni di capitalizzazione), che ha scelto come obiettivo la raccolta di fondi da utilizzare poi per entrare in partecipazione minoritaria nei capitali di società che puntano a crescere, ponendo la quotazione come traguardo finale. Tra le partecipate di Tip compaiono nomi come Eataly, Furla, Moncler, Azimut Benetti e Ferrari. Nel design ha operato investendo in Roche Bobois e iGuzzini. “Abbiamo deciso di muoverci all’opposto rispetto a ciò che fanno i fondi di investimento – ha spiegato Tamburi – perché non c’è alcuna velleità di assumere la guida di aziende che sono già gestite da imprenditori di successo. Preferiamo sederci sul sedile accanto, accompagnandole durante il percorso. Tutte le aziende da noi partecipate, nel 2016, stanno facendo meglio dell’anno scorso”. La quotazione è obiettivo già contrattualizzato per Roche Bobois e iGuzzini. Tamburi non risparmia critiche ai fondi di private equity (“Hanno democratizzato la finanza a livello internazionale, attraendo incredibili masse di denaro per la ricerca di investimenti alternativi e più redditizi da parte dei risparmiatori, ma hanno anche creato grossi disastri per ingordigia”) e tantomeno alle banche. “L’Italia è il più grande paese risparmiatore al mondo, ma il 90% dei risparmi va all’estero. La sfida consiste nel trasferire questa risorsa alle nostre aziende”.
Paolo Colonna, fondatore e promotore di Italian Design Brands (41 milioni di fatturato nel 2015, 78% di export), ha esposto invece il progetto nato un anno fa per promuovere un polo del design italiano con l’acquisizione di Gervasoni e il più recente ingresso in Meridiani. “Mettiamo assieme aziende dell’alto di gamma per ottenere quella dimensione minima necessaria per competere a livello globale. L’obiettivo è arrivare a 5-7 aziende in tutto, ottenendo sinergie mirate a contract, comunicazione, presenza nel retail su piazze dove da sole non sarebbero in grado di arrivare. La quotazione in Borsa è un nostro obiettivo, ma prima dovremo raggiungere almeno 150 milioni di fatturato per essere flottanti”. Quando accadrà? “Tra cinque anni – sostiene Colonna – ci sarà un gruppo di imprenditori, riuniti in Idb, pronto a salire gioiosamente la scala di Palazzo Mezzanotte”.