Giovane imprenditore di Taipei, Arthur Huang è il fondatore di Miniwiz, azienda di design che si concentra sulla realizzazione di materiali ad alte prestazioni creati dai rifiuti.
Laurea alla Harvard University in Architettura, il libro Tao Te Ching (Libro della Via e della Virtù) in tasca e un approccio pragmatico e risolutivo ai problemi della società contemporanea. Arthur Huang, giovane imprenditore originario di Tapei, ha fondato in tempi non sospetti (2005) Miniwiz, azienda di design che si pone una missione molto chiara: affrontare – e risolvere – la grande disparità attuale tra la sostenibilità, il riciclo, una generale e crescente coscienza eco e la desolante realtà di mercato sprovvista di applicazioni realizzabili finanziariamente. Dopo soli 10 anni, nel 2015, il World Economic Forum ha riconosciuto Miniwiz come pioniere nella tecnologia relativa a Energia/Ambiente e Infrastrutture, evidenziando l’impatto positivo dell’attività aziendale sul mondo dell’ambiente e dello sviluppo economico. Oggi, Miniwiz si concentra sulla realizzazione di materiali ad alte prestazioni creati dai rifiuti (come il progetto Trashespresso), rappresentando un esempio virtuoso di economia circolare. In centro a Milano, ha recentemente aperto HOT (House of Trash), un appartamento, ufficio e galleria, interamente arredato in collaborazione con Pentatonic, brand spin-off di Miniwiz, con mobili realizzati da scarti e rifiuti, raccolti localmente nell’Unione Europea e che possono essere ulteriormente riciclati perché sprovvisti che colle chimiche.
Economia circolare: a che punto siamo?
Direi che siamo all’inizio, anche se il concetto di circolarità è una delle più antiche pratiche di risparmio di risorse. A livello globale, meno del 2% dei materiali riciclati è trasformato in nuovi prodotti, come ci si aspetterebbe. La maggior parte dei materiali finisce in discariche, impianti d’incenerimento o nell’oceano. Questo perché la nostra economia negli ultimi 80 anni è stata costruita su una produzione lineare, quindi nessun singolo produttore è davvero responsabile dei rifiuti da lui generati o del destino di un suo prodotto al termine della sua utilità. Di conseguenza, la responsabilità di smaltimento diventa pubblica ed è difficile mettere d’accordo tutti. La percentuale di aziende che riutilizzano i propri prodotti è ancora molto più bassa rispetto all’uso di materiali vergini.
Dove pensa ci sia più attenzione?
L’economia circolare non è qualcosa di nuovo, ma l’equilibrio è peggiorato negli ultimi anni, a causa dell’espansione capitalistica e del consumismo. Paesi come Giappone, Cina e Taiwan sono più concentrati sull’esecuzione di beni fisici in cui la maggior parte di produzione, infrastrutture e tecnologie sono locali, mentre l’Occidente, al momento, tende a essere più concettuale. In termini di concettualizzazione, l’Europa è a un buon punto, anche se molti dei suoi rifiuti sono venduti in Asia. Quindi, se si vuole chiudere il cerchio, l’Asia può rendere il concretizzare questo concetto in modo rapido ed economico. Il Regno Unito e i Paesi Bassi sono i migliori se si parla in termini astratti perché purtroppo, non hanno infrastrutture per il riciclaggio efficienti e finiscono per contribuire ‘solo’ attraverso la sponsorizzazione di idee a livello globale. A Taipei, il tasso di riciclo post-consumo è oltre il 60%, uno dei più alti al mondo se confrontato ad esempio con gli Usa dove siamo intorno al 34 per cento.
Che incidenza ha sull’economia di un paese un atteggiamento attento al riciclo?
È il primo passo per trasformare l’economia circolare. L’atteggiamento positivo ha due vantaggi: elevare a livello morale l’importanza di azioni responsabili verso l’ambiente, e il secondo è quello di aumentare il valore dei rifiuti. Se questi o l’azione del loro smaltimento avessero un notevole onere finanziario, la gente troverebbe soluzioni efficaci per trasformare la spazzatura in qualcosa dotato di valore, che compensi molto rapidamente i costi di smaltimento.
Ha affermato che il design non si cura ancora abbastanza della circolarità. Che cosa intende e cosa farete in futuro?
La nostra economia è lineare e, ancora peggio, la nostra educazione è lineare. Ogni grado o livello è l’unico soggetto che mettiamo a fuoco. Come risultato, un approccio transdisciplinare è molto raro. Per questo motivo, Miniwiz vuole aprire il proprio database di materiali accumulato dal 2005 per colmare questo vuoto di conoscenza. Questo potrà servire a più livelli: da chi si occupa della raccolta dei rifiuti, a chi progetta la tecnologia per farlo, a chi ingegnerizza i materiali, a chi ne studia le applicazioni e le prestazioni richieste dai diversi tipi di prodotti. Noi continuiamo con lo sviluppo della ricerca di nuove tecnologie e applicazioni di materiali riciclati per convertirli in beni di consumo possibili. Il database dei materiali comprende 1.200 materiali che provengono dagli scarti e il prossimo passo sarà condividerlo con il pubblico. Penso che sia importante provare a smettere di parlare del problema, assumersi la responsabilità per le nostre azioni, e iniziare a fare.
Nel suo manifesto, utilizza il verbo “stare a cuore” più volte: è cambiato qualcosa da quando ha iniziato nel 2005?
Quando abbiamo cominciato, volevamo solo aiutare l’ambiente e allo stesso tempo aiutare noi stessi ad essere membri utili all’interno della società. Fare del bene e divertirsi quindi, niente di più. Per noi il divertimento è risolvere la missione impossibile dei problemi ambientali in un modo creativo. Un atteggiamento molto egoista, in realtà. Nel momento in cui il nostro lavoro è diventato riconosciuto a livello globale, abbiamo cominciato a chiederci il perché avessimo deciso di perseguire questa strada, sia a livello intellettuale sia economico. La mia risposta ora è semplice: volevamo e vogliamo che il nostro lavoro conti, perché ci sta a cuore il cambiamento. La nostra creatività però non conta nulla finché non è dimostrata e provata a livello tecnico e pratico e finché non conta su scala collettiva, non più solo per noi.
Si vede più come un uomo d’affari, o qualcosa di diverso?
Recentemente una delle mie colleghe, mi ha detto che mi vede come un uomo d’affari. Onestamente, la definizione mi ha colpito e un po’ rattristato. Non mi sono mai immaginato così, ma purtroppo per sopravvivere e prosperare, è necessario trasformare se stessi per poter operare secondo le regole del capitalismo e la creazione di valori. Per quanto mi riguarda è sempre una questione di scambio, di compromessi tra il guadagno a lungo termine e a breve termine, nell’ottica di creare una proposta di valore che sia stabile e duratura. Come si può ignorare l’opportunità di trasformare l’abbondante e continua disponibilità di rifiuti in qualcosa che soddisfi la domanda del futuro? Ragionando come un uomo d’affari, la domanda diventa come si può fare non se si può fare. Non è altro che un investimento per le generazioni future. di Costanza Rinaldi