In Cina esporta le Città Foreste, ma per Stefano Boeri la grande sfida italiana dei prossimi anni è un piano di rigenerazione urbana per trasformare zone già urbanizzate in aree di aggregazione, servizi e parchi urbani.
Stefano Boeri, 60 anni e una carriera che spazia dalla progettazione architettonica all’impegno civile, passando per l’editoria di settore. Caratterizzato sempre da un’attenzione costante rivolta a governare il coro di voci urbane e naturali che compongono una città, l’architetto è stato più volte insignito di premi internazionali che l’hanno fatto diventare un punto di riferimento in ambito architettonico così come urbanistico. Uno su tutti, il Premio come Migliore Edificio al Mondo del 2015 per il Bosco Verticale di Milano, che Boeri insieme al suo studio ha trasformato in poco tempo in un vero e proprio modello abitativo, un format esportabile e realizzabile dovunque nel mondo.
La creazione di Città Foreste è l’inizio di un nuovo modo di progettare in Cina?
Finalmente in Cina, stanno cominciando ad attuare un drastico ripensamento sulla progettazione: quello che hanno fatto finora è stato semplicemente continuare a costruire nuove aree urbane, nuove periferie, e i risultati sono questi immensi agglomerati metropolitani, spesso con un inquinamento insostenibile. Esportare in Cina il concept della Città Foresta, ossia di un insediamento urbano fondato sulla biodiversità, l’energia green e la sostenibilità ambientale, vuol dire dare un contributo decisivo alle loro condizioni ambientali e urbanistiche. Il tema dell’ambiente per loro è un problema enorme perché alcune delle loro città, come ad esempio Shijiazhuang, hanno tassi di inquinamento fuori da qualsiasi limite.
Come vengono progettate le Città Foreste? Nascono dalle Vertical Forests?
Sì e sono costituite da edifici di dimensione piuttosto contenute ispirati al Bosco Verticale. Ogni Vertical Forests equivale a circa 2 ettari di bosco ed è un modello di pianificazione urbana sostenibile concreto e applicabile in un Paese come la Cina nel quale ogni anno 14 milioni di persone si spostano dalle campagne alle città. Nel 2018 sarà concluso il primo Bosco Verticale cinese, a Nanjiing, ma stiamo già lavorando su altre città della Cina, come Shijiazhuang, Liuzhou, Guizhou, Shanghai e Chongqing.
Si parla molto dell’esportazione del design italiano nei mercati cinesi, ma dal punto di vista della progettazione che situazione c’è?
Io ho uno studio a Shangai, dove lavorano molti giovani architetti, anche molti italiani e adesso stanno cominciando a riconoscere e ad apprezzare la nostra cultura del recupero edilizio, cosa che invece non appartiene loro. Per noi, Europei in generale, il recupero è fondamentale, è nel nostro DNA e adesso anche in Cina si cominciano a vedere progetti di recupero di edifici storici, come ad esempio l’incarico che abbiamo avuto per la ristrutturazione dell’antica borsa di Shangai, oggi diventato un centro multifuzionale. Il design italiano è sempre visto come un punto di riferimento, per questo la EasyHome ci ha chiesto di progettare un centro dedicato proprio al nostro design, un luogo di commercializzazione per aziende italiane e cinesi, uno spazio espositivo e un hub per 3 studi italiani che potranno incontrare clienti e mostrare i loro progetti.
I temi di sostenibilità e biodiversità si rintracciano in altri suoi progetti, come il Mountain Forest Hotel…
Sì, sicuramente. Si tratta di un progetto che verrà realizzato nella Valle dei 10mila picchi, uno spazio di 400 acri. Noi stiamo lavorando per la sede in loco del Cachet Hotel Group di Hong Kong, con 250 camere per 31.200 m2. L’hotel sarà come un picco naturale, perfettamente inserito nell’ambiente circostante, alla sua topografia e all’ecosistema che lo caratterizza. La simbiosi tra uomo, architettura e natura è la reale sostenibilità di un progetto. Con la stessa impronta stiamo progettando l’area lounge del Terminal 2 all’aeroporto di Pudong: uno spazio verde, ispirato alla giungla per staccare dalla frenesia di un luogo particolare come un aeroporto.
Infine, com’e la situazione italiana trattando di sostenibilità, biodiversità e crescita urbana?
Efficienza energetica, uso intelligente di materiali e risorse, attenzione alla qualità della vita e del contesto ambientale e sociale in cui un progetto si inserisce, possono considerarsi i dati strutturali di ogni “buona” architettura. In Italia la struttura urbana è costituita da circa 120 milioni di vani, di questi, 30 milioni sono costituiti da edifici “storici” e sottoposti a tutela e circa 90 milioni sono invece i fabbricati che costituiscono gran parte delle periferie urbane, spesso caratterizzati da scarsa qualità architettonica e costruttiva e, generalmente, privi di requisiti antisismici. Attuare politiche urbanistiche innovative, che mirino a promuovere condizioni di urbanità, di intensità di scambi e relazioni, come succede già in altri Paesi, è un contribuito fondamentale alla riqualificazione del capitale sociale delle periferie. Un esempio in questo senso sono le piazze italiane, da sempre luoghi dove tutto può accadere: spazi pubblici aperti, la cui indeterminatezza e generosità è per me il miglior segno dell’intensità di cui parlo. Quando non c’è varietà sparisce la caratteristica principale della città.
di Costanza Rinaldi