Canali di distribuzione, produzione locale o italiana, filiale o showroom, online, contract e altro ancora. Parla Giancarlo Tintori, architetto e designer con un piede ormai stabile in Asia.
Un continente, più che un Paese, caratterizzato da dati di sviluppo e consumo tanto stupefacenti quanto allarmanti. Ecco la Cina osservata dagli occhi di un architetto che la conosce a fondo, tanto da essere nominato membro onorario del progetto di Federlegno legato all’ex Impero Celeste. Giancarlo Tintori, 55 anni, fondatore dell’omonimo studio di architettura con base a Milano e della ID&AA Italian Design Architecture Agency, è docente nei master in Architettura e Design presso la Tongji University di Shanghai e nel campus Sino-Italiano dello stesso ateneo. Nel novembre del 2012 ha anche ricevuto la medaglia d’oro del China Institute of Interior Design (Ciid), di cui è membro onorario. La sua conoscenza del più popoloso paese mondiale, frutto di vent’anni di viaggi e progetti professionali, ne fa il perfetto interlocutore per comprendere dieci aspetti fondamentali della Cina in chiave arredo e design.
1. TREND DI CRESCITA
Il lato allarmante della crescita è legato alla sostenibilità socio/ambientale della stessa. L’edificazione massiccia e “qualitativamente molto discutibile”, a cui è stato sottoposto il paese negli anni del boom, ha imposto ambiente, riqualificazione delle fonti energetiche e sostenibilità tra gli argomenti centrali del XIII° piano quinquennale varato del governo, con conseguente cambio di direzione in urbanistica e in architettura. Consideriamo inoltre il flusso migratorio interno, che ha spinto 500 milioni di persone dalle aree rurali alle città e continua al ritmo di 20 milioni l’anno: si tratta di una migrazione di fasce principalmente povere di popolazione, che spinge però verso l’alto chi in città già vive e percepisce salari di buon livello. “Sono i grandi player del mobile cinesi e quelli internazionali, ma non italiani, ad accaparrarsi il segmento basic. Giusto per non far nomi: Ikea”. È quindi naturale puntare ai ricchi cinesi che viaggiano, hanno disponibilità economiche a molti zeri e iniziano a sviluppare cultura di prodotto home. Il gusto occidentale penetra nello stile di vita tradizionale di un consumatore occidentalizzato che “impazzisce per il mobile italiano, gli riconosce un valore ed una qualità unici, questi clienti sono in numero e capacità di acquisto da far mancare il fiato a tutte le nostre aziende, nessuna esclusa. Oggi si rivolgono solo o in parte ad aziende locali, minestroni creativo-produttivi multinazionali che come minimo hanno dato al brand qualche nome italiano tipo Angello Rozzi oppure serene licenze poetiche sui nomi dei grandi brand, con cataloghi che sono altrettanto fantasiose unioni di cataloghi di prodotti di nostre aziende”. Chi ci crede, e ha risorse, ha una prateria sconfinata davanti a sé.
2. RISULTATI RACCOLTI
Siamo forse all’1% delle potenzialità di mercato. Alcune aziende italiane stanno lavorando con successo e per loro le opportunità sono in grande crescita. “Non credo si possa parlare di azienda che si è mossa meglio, il vero punto di partenza sarà l’inaugurazione del primo Salone del Mobile Milano-Shanghai, l’ingresso forte e determinato delle aziende e di questo evento che a mio giudizio sancisce il vero sbarco del sistema arredo italiano fatto organicamente. Questo evento consentirà di presentare adeguatamente le reali potenzialità della nostra industria e dei nostri incredibili artigiani”.
3. QUANTO CONTA IL MADE IN ITALY?
Il consumatore cinese sa che buona parte dei produttori locali appartengono a un “universo fluttuante e insondabile” dove definire le qualità tecniche delle materie prime, la loro salubrità e ciclo di vita è pura astrologia, dove l’etichetta che riporta le certificazioni è spesso quanto di più fantasioso ci possa essere. Tale consapevolezza lo spinge a cercare le garanzie nei prodotti d’importazione e in particolare nei mobili italiani. Devono essere fatti in Italia? Non necessariamente. “Da qualche anno – sostiene Tintori – credo nell’inedita configurazione del ‘thinking in Italy’ associato a ‘made in China’ e ne parlo spesso con gli imprenditori italiani. Ad alcuni suona blasfemo, quasi fosse una contraddizione inconciliabile, eppure i casi di successo di aziende italiane appartenenti a settori diversi da quello dell’arredo, che applicano questa modalità, sono molti. Questo finora non è accaduto per gli imprenditori del mobile. Serve impegno, serve che qualcuno dell’azienda faccia la valigia e si sposti in Cina, serve una strategia specifica che consenta e strutturi questa condizione. Nessuna delocalizzazione produttiva in qualsiasi parte del mondo è propedeutica, assimilabile o paragonabile ad un avvio in Cina”.
4. I CANALI DISTRIBUTIVI
Wholesale, monomarca o contract? Non c’è una ricetta universale. Il mercato è articolato, sfaccettato, immenso e mutevole; richiede quindi approcci altrettanto diversificati. “Una sola cosa è determinante in ognuno di questi aspetti: l’affidabilità estesa e la competenza culturale dell’interlocutore. Analisi difficilissima e grande scommessa per ogni brand, per ogni settore e in ogni parte del mondo”.
5. MARKETING E COMUNICAZIONE
Per questi due segmenti entriamo in aspetti linguistici, culturali e relazionali che sono molto diversi da quelli occidentali e ancora manca una ricetta precisa. Siamo in una fase di continua evoluzione dove le agenzie cinesi vorrebbero fare le ‘occidentali’ ma non serve per quel mercato e non hanno la ricetta giusta; d’altro lato, quelle occidentali grandi o piccole si spostano a Pechino o Shanghai e con tanta buona volontà qualche ‘piatto’ fusion pare sia riuscito. Non è sufficiente pensare di traslare i piani utilizzati in altri paesi con minimi adattamenti e una traduzione linguistica.
6. FILIALE O SHOWROOM?
La prima scelta impone una struttura locale complessa e investimenti maggiori della seconda, che può anche essere gestita da un partner locale con il supporto di un dipendente o agente della società italiana. Cosa conviene fare? Per Tintori, lo showroom non basta; serve un impegno e una presenza numericamente adeguata per gestire il mercato da un miliardo e mezzo di persone. “A Shanghai, Pechino, Guangzhou e Chonquing i nostri rappresentanti diplomatici e l’Ice stanno lavorando da tempo per favorire questi scambi ma non me ne vogliano gli imprenditori se dico, per quel che vedo, che loro sono la parte debole di questa squadra. A tale riguardo, il lavoro che Fondazione Italia-Cina sta facendo per favorire questo tipo di crescita culturale e relazionale rivolta alle aziende è fondamentale. Servono spazi fisici e virtuali dove mostrare il brand e il prodotto; servono agenti che possano gestire con le adeguate strategie territoriali, di fascia e di interlocuzione le diverse regioni cinesi. In Europa nessuno manderebbe mai il proprio agente per il sud della Spagna nato a Siviglia ad occuparsi anche delle repubbliche baltiche o uno scandinavo a vendere in Sicilia. Non pensiamo quindi che un agente di Shenzhen trotterelli allegramente nel Xinjang o nel Hebei.
7. BASE A SHANGHAI
Shanghai è la Milano della Cina, per il mobile? Basta essere presenti lì per avviare una politica di brand? Il paragone, secondo Tintori, è valido dal punto di vista sociale e culturale, anche associato a quando nella Parigi d’oriente ha saputo fare la moda italiana. Shanghai è dunque perfetta come base di appoggio, ma non basta per coprire un mercato composto da diverse aree linguistiche, reticoli di epicentri culturali e territoriali, distante enormi. Le differenze dimensionali vanno metabolizzate e comprese, sono il vero ostacolo da superare per fare business.
8. CANALE ON LINE
Per quanto riguarda l’ingresso nell’e-commerce del mobile, magari attraverso piattaforme da creare su Alibaba/Tmall, Tintori non ha dubbi: “Certo, subito, con tutte le attenzioni del caso”. La leva dei social in chiave comunicazione dev’essere invece utilizzata con attenzione perché le piattaforme utilizzate in Cina sono completamente diverse da quelle occidentali. “In questo segmento, ancor più che per altri, serve una mediazione culturale e linguistica molto professionale. Detto questo, aggiungo però, non senza un po’ di smarrimento, che i cinesi vivono con lo smartphone in mano e passano ore chini sulle loro piattaforme social, non c’è nulla di meglio per raggiungerli”.
9. CUCINA, LIVING, BAGNO O….?
Quali sono le specializzazioni del mobile che hanno più possibilità di sfondare? Il campo è aperto. “Tutti i settori sono validi. Il modo di costruire e configurare a livello funzionale e abitativo le case è sempre più internazionale e di impronta occidentale, perciò nessuna delle categorie di prodotto delle nostre aziende viene escluso. Dalla luce al giardino, dalla camera da letto al bagno.
10. CONTRACT PER CHI?
Le stesse perplessità che il consumatore ha verso il prodotto cinese, afferma Tintori, le ha anche verso il contractor cinese. Ne deriva che pure in questo canale le possibilità di sviluppo appaiono enormi. La sfida è trovare i giusti interlocutori. “I grandi studi di architettura stranieri sono attivi da molti anni in Cina. Come architetti italiani dobbiamo fare un mea culpa molto articolato, che lascio ad ognuno di noi, ma oggi seppur in ritardo stiamo dicendo la nostra, e molto bene. Per il resto, ben venga che anche loro prescrivano prodotto italiano e scelgano contractor italiani. Io da italiano faccio questo e i miei lavori, salvo per alcuni pezzi d’arte, sono esclusivamente fatti con prodotti italiani”.
di Andrea Guolo