Massimo Iosa Ghini: “Era un materiale da rivestimento, è diventato un prodotto di design con una propria voce”. Il suo futuro resta la pavimentazione. La sfida è la sostenibilità.
Cersaie oggi? “È un momento da cui emerge una proposta stilistica. Gli stand in fiera non sono più, come un tempo, luoghi pieni di cassette di piastrelle; sono veri e propri ambienti basati sul valore”. La lettura della nuova identità della mostra bolognese è di Massimo Iosa Ghini, architetto che vive e opera nel capoluogo emiliano, ma ha sguardo e interessi internazionali, al punto da aver costruito una rete composta da tre studi a Bologna, Milano e Miami con una trentina di collaboratori che si interfacciano con una società di ingegneria, una di impiantistica e un esperto di questioni giuridico-amministrative per affrontare con agilità tutte le problematiche legate alla progettazione. Completano il quadro worldwide una consolidata attività sul residenziale in Russia, e una serie di rapporti già sviluppati con la Cina, dove non si esclude una futura apertura (“Abbiamo due potenziali partner con proposte avviate e concrete, decideremo entro il 2018”, confida). Iosa Ghini opera ad ampio raggio, ma conserva un occhio di riguardo per il mondo della ceramica industriale con cui negli anni ha intrattenuto una vasta serie di relazioni, dai primi prodotti decorativi con Emilceramica all’evoluzione dei neutri-tecnici sviluppati per Iris e GranitiFiandre fino all’attuale collaborazione con il gruppo Ricchetti, basata sulla volontà di dare voce al prodotto, di far emergere il suo significato perché, afferma: “La ceramica non può essere soltanto una superficie. Si tratta di un materiale evocativo. Da qui è nata la collezione Craft, che parte dalla rielaborazione grafica di un tessuto garzato ed è diventata un prodotto decorativo e parlante”. Ed è a firma di Iosa Ghini anche lo stand allestito a Cersaie dal gruppo modenese, comprendente i marchi Cisa, Cerdisa, Ricchetti e Manifattura del Duca, oltre alle collaborazioni con Roberto Cavalli Home Luxury Tiles, Momodesign e ai brand internazionali Cinca e Klingenberg.
Cosa c’è stato alla base della trasformazione del prodotto-ceramica?
Le aziende si sono rese conto, strada facendo, di quanto fosse importante l’aspetto visuale delle loro creazioni. Le hanno finalmente rese leggibili al professionista. È stato una sorta di passaggio dalle superfici ai sistemi di superficie che, anche per un fatto tecnico, devono essere sempre più gestiti da professionisti. Oggi potrà sembrare banale, ma 15 anni fa non lo era affatto. Allora la superficie era una scelta da catalogo, oggi è un tema di progetto.
Pensa che in futuro aumenterà l’utilizzo delle ceramiche per esterni?
Per i rivestimenti degli edifici, la ceramica industriale ha molti concorrenti più accattivanti sotto il profilo del prezzo e anche dell’applicazione. Nelle pavimentazioni invece il rapporto tra qualità e investimento resta tra i più alti. Se dovessi scommettere sul futuro delle piastrelle di ceramica, punterei sulla pavimentazione.
Qual è la sfida più grande che attende le aziende specializzate?
In un mondo sempre più sensibile agli aspetti ambientali, è necessario ragionare in termini sostenibili. Ricchetti ha sviluppato collezioni intere realizzate con materiali di recupero. È chiaro però che dal punto di vista produttivo conviene seguire la filiera massificata e pertanto diventa difficile operare con costi più elevati. Servirebbero, a mio avviso, delle politiche fiscali più decise a sostegno di questo approccio sostenibile.
Quali sono i punti di forza del prodotto e delle aziende italiane?
Il prodotto in sé è fortemente stimolante, perché si tratta di una superficie con la quale, attraverso la progettualità, la grafica e il controllo dell’effetto profondità del materiale, si possono ottenere livelli estremamente sofisticati e che vanno ben oltre la copia di altri materiali. La forza delle aziende italiane invece è la capacità di innovare, e la creazione dei grandi formati ha rappresentato certamente la principale innovazione degli ultimi anni, assieme all’ampliamento della proposta stilistica. Vorrei inoltre sottolineare quanti investimenti siano stati fatti per la riduzione degli spessori, che è un tema spesso trascurato ma sul quale io credo moltissimo, perché determina non solo vantaggi economici ma anche una forte riduzione di carbon footprint, dimezzando quasi la quantità di materiale a parità di superficie coperta.
E i suoi limiti?
Gli stessi degli altri sistemi produttivi italiani, che possono sì generare ottima qualità e ricchezza del catalogo, ma limitano la capacità di proporre internazionalmente i nostri prodotti. E questo è certamente legato alle dimensioni delle imprese. Le fiere sono importanti, ma occorrerebbe una presenza costante sulle piazze che contano, da Tokyo a New York fino a Shanghai. E lo stesso andrebbe replicato su web. Una rete di ceramic center permanenti, in cui oltre al prodotto si propone il progetto. Se ne parla da decenni ma non è stato ancora realizzato.
di Andrea Guolo