Philippe Nigro racconta la sua esperienza con la ceramica In cui ha condensato il know how di anni di vagabondaggio creativo e culturale. Ancora una volta, superati gli standard.
Artista e artigiano. Designer ed esploratore. Scienziato e poeta. Philippe Nigro è un creativo eccentrico rispetto agli standard. E lo ha dimostrato anche nelle scelte adottate per creare la collezione “Filigrane” per Lea Ceramiche, e la delicata capsule di oggetti di ispirazione jap per AKITA-ndà, entrambe presentate durante l’ultima Design Week di Milano. Ed entrambe, appunto, rappresentative di come Nigro abbia oggi raggiunto una evidente capacità di condensare il proprio know how internazionale (e, soprattutto, interculturale) in allestimenti e oggetti non convenzionali, pervasi da un lirismo e da una sobrietà impeccabili. Dove nasce questa personalità professionale dalle molteplici facce? Lo racconta a Pambiando Design lo stesso Nigro sorseggiando un caffè alla vigilia delle fiere di settembre. “Ogni volta che inizio a pensare a un nuovo prodotto – spiega – cerco sempre di immaginare quali potrebbero essere i vissuti e le aspettative dei potenziali utenti finali: solo così si possono esplorare nuovi territori, legando sempre la ricerca sperimentale all’analisi pragmatica di qualunque savoir faire”. Una immedesimazione che è andata combinandosi con i suoi continui vagabondaggi geografici e culturali dalla Francia al Giappone, passando per l’Italia: mondi dai quali ha assorbito spunti e know-how da tradurre in design. IL
PERCORSO DI DIVERSE CULTURE
Molti sono le culture e gli incontri che hanno influenzato il modo di leggere la realtà di Nigro. Nato a Nizza nel 1975, il suo Dna creativo si plasma prima alla scuola di design industriale a Lione e poi alla prestigiosa Ecole Boulle di Parigi. Poco dopo (siamo nel 1999) si trasferisce per uno stage a Milano nello studio di Michele De Lucchi, dove si avvicina al modo italiano di vedere il progetto. “Sono venuto a Milano – ricorda – pensando di fermarmi tre mesi e sono rimasto più di 12 anni. Ho incominciato realizzando i modelli per Olivetti e ho collaborato con Michele. Poi, lavorando anche da solo, sono andato avanti”. In questo percorso è stato determinante per Nigro il supporto del VIA (Valorisation de l’Innovation dans l’Ameublement), l’associazione francese che permette ai giovani designer di realizzare dei prototipi e presentarli alle fiere: “Nel mio caso il successo è arrivato con il divano “Confluences”, che ha segnato l’inizio della collaborazione con Ligne Roset”, conferma il designer. In seguito si sono aggiunti altri committenti, come Baccarat e De Padova, fino alla consacrazione internazionale, durante il Salone del Mobile 2013, segnata dalla presentazione di una linea completa di arredi per Hermès.
LA SFIDA DELLA CERAMICA
Nel suo percorso, dunque, è arrivata oggi anche la sfida delle ceramiche. Con un partner importante: Lea Ceramiche, azienda di Fiorano Modenese, che dal 1992 è parte, con altri otto brand (Panaria, Cotto d’Este, Blustyle, Fiordo, Florida Tile, Marges, Love Tiles e Bellissimo), di Panariagroup industrie Ceramiche Spa, una realtà internazionale con cuore italiano, presente in oltre 100 Paesi nel mondo. Dal connubio, è nato il progetto “Filigrane”, una collezione di grès porcellanato effetto-marmo lanciata in anteprima a Milano durante il Fuori Salone 2017 e ora di nuovo alla ribalta a Bologna, in occasione del Cersaie. “Volevo andare al di là del semplice esercizio di imitazione – riprende Nigro – e così ho giocato con la connotazione del falso liberandolo da qualsiasi aspetto citazionistico, per creare un materiale innovativo e non disponibile in natura”. Ne è derivato un concentrato di creatività e stile che, attraversando il confine sottile che unisce e al tempo stesso separa industria e arte, è riuscito a frantumare l’incantesino classicheggiante che da sempre imprigiona la più nobile delle pietre. “Filigrane” è dunque un progetto controcorrente, che trova riferimenti nella storia dell’arte e dell’architettura dal Manierismo fino agli anni Quaranta e che ruota tutto intorno alla rivisitazione del trompe l’oeil, che Nigro ha riattualizzato in chiave ironica e giocosa. “Filigrane” si presenta infatti come un materiale da rivestimento istoriato con un pattern geometrico regolare, sul quale si allungano in ordine sparso le caratteristiche venature dei marmi più pregiati. Due le varianti, Pearl e Hyphen; cinque i colori dei fondi, Calacatta Gold Extra, Statuario White, Pietra Gray, Lasa Bright e Onice Venus. Filo conduttore del progetto la classe discreta, sia nei toni che nelle decorazioni, che lega la bellezza dei materiali naturali al prodigio della tecnologia che li ricrea a livello industriale. “Se avessi fatto un disegno più marcato della venatura del marmo sarei andato in conflitto con quello geometrico”, puntualizza Philippe Nigro. “E invece nella vita, come nei miei prodotti, non voglio mai imporre troppo. Mi piace l’idea che ognuno faccia propri oggetti e materiali, personalizzandoli con l’utilizzo. È questa la filosofia che oggi contraddistingue il lavoro del designer, che deve essere in grado di poter soddisfare sia la grande industria che il singolo artigiano. C’è sempre un momento, durante il processo creativo, dove è fondamentale incontrarsi, e sono tuttora convinto dell’importanza di questi passaggi. Oggi si fa un file in 3D e dall’altra parte della macchina esce il prodotto finito. Io sono cresciuto nell’epoca in cui si disegnava ancora a mano, e un pizzico di questa magia la porto ancora dentro di me”.
LA SFIDA DELLA LACCA
L’altra sfida recente di Nigro sono state le finiture giapponesi che ha utilizzato per la collezione AKITA-ndà. In questo caso, ha collaborato con due artigiani storici, entrambi originari della regione di Akita, fra gli ultimi custodi delle antichissime tecniche della lacca urushi e del cedro curvato, o wappa, utilizzate da secoli per realizzare ciotole e scatole bento. Chiamato dall’amico Makoto Kawamoto, responsabile degli eventi Lexus, ha messo a punto una preziosa raccolta di “oggetti gioiello”, che distillano il desiderio di salvaguardare un sapere tradizionale, riletto però con uno sguardo contemporaneo. Così la lacca urushi è stata usata per rivestire dei contenitori quasi astratti che, sovrapposti tra loro, creano delle forme scultoree, mentre con la tecnica wappa sono stati plasmati portafrutta, vassoi, vasi, addirittura coffee-table, in parte opachi e in parte levigati, che regalano al quotidiano un soffio di Oriente. E di struggente poesia.
di Monica Montemartini